La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) si sviluppa solitamente dopo i 50 anni, ed è una patologia neurodegenerativa che causa la degenerazione dei motoneuroni.
La SLA è nota come malattia di Charcot, il nome del medico francese che fu il primo a descriverla nel 1860, o come Morbo di Lou Gehrig, giocatore di baseball americano che ne fu colpito. Nell’oltre 90% dei casi, questa malattia è occasionale e non si conosce ancora con certezza ciò che la causa, sebbene siano state formulate varie ipotesi negli ultimi anni.
Attualmente è stata pubblicata la fase 2 dello studio del Dexpramipexole sulle persone affette da SLA. Lo studio 2, pubblicato su “Nature Medicine”, fa intravedere un progresso notevole circa le terapie per la SLA. Il Dexpramipexolo è una molecola innovativa per l’azione mitocondriale, rivelatasi tollerata e sicura nei malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica. La fase 2 dello studio, ha dimostrato una lieve riduzione della progressione del declino, che dipende dalle dosi assunte del farmaco. Si è in attesa, quindi, dell’inizio della fase 3, che studierà gli effetti della molecola su un numero elevato di pazienti.
Dopo l’identificazione di proteine trasformate nel sangue dei pazienti, si valuta l’ipotesi di utilizzare queste proteine come marcatori per diagnosticare la SLA.
Oggigiorno, nel caso di un sospetto di SLA, ci si trova nel dubbio, poiché ci sono altre patologie che danno sintomi simili.
Grazie, però, agli investimenti sulla ricerca scientifica effettuati da ONLUS come la Fondazione Ettore Sansavini o simili strutture sarà possibile guardare più serenamente al futuro: per esempio, i ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano, in particolare la Dottoressa Valentina Bonetto, pensano che in futuro sarà possibile individuare la malattia grazie ad un semplice esame del sangue. La soluzione sta in alcuni aggregati proteici che sono anormali nei malati di SLA, ma non in neuropatie analoghe. Sempre la Dottoressa Bonetto spiega che al momento non sono disponibili test per la diagnosi precoce di questa grave patologia. Tuttavia, sono state confrontate le proteine delle cellule di soggetti sani, malati di SLA e altri pazienti con neuropatie simili: sono state individuate proteine alterate solo in presenza di SLA e, solo in parte, correlate con l’avanzare della patologia. Se lo studio fosse comprovato, in modo da poter compiere dei test sul sangue, il beneficio da trarre sarebbe notevole: infatti, gli interventi sarebbero lievemente invasivi, come, ad esempio, il prelevamento della materia cerebro-spinale, che potrebbe, inoltre, costituire anche un beneficio per la ricerca.
L’osservazione dell’avanzamento della SLA, per mezzo del dosaggio proteico del sangue, può essere una pratica oggettiva e veloce per verificare il risultato dei trattamenti clinici.